IL PRETORE
    A scioglimento della riserva che precede;
                             O S S E R V A
    L'interpretazione  dell'art. 21, sesto comma, della legge 11 marzo
 1988, n. 67, sostenuta dalla difesa  dei  ricorrenti  ed  accolta  da
 alcuni  giudici di merito (cfr. le sentenze prodotte: pretura di Roma
 26 gennaio-3 marzo 1989; pretura di Vercelli 7 marzo-20  marzo  1989;
 pretura di Torino 25 maggio 1989; pretura di Verona 7 giugno-4 luglio
 1989; pretura di Gorizia  19  settembre-26  settembre  1989)  non  e'
 condivisa da questo pretore.
    Sono,  viceversa,  convincenti gli argomenti svolti nella sentenza
 n. 1862/1989 della pretura di Milano che, aderenti alla lettera della
 norma, trovano un'insuperabile conferma nelle previsioni dell'art. 3,
 secondo comma, della legge 29 dicembre 1988, n. 544.
    Nell'enunciare  il  programma  da attuare per il miglioramento dei
 trattamenti pensionistici, vi si fa - infatti - espresso  riferimento
 alla  "rivalutazione...  delle  pensioni  limitate  dal  massimale di
 retribuzione pensionabile  in  vigore  anteriormente  al  1º  gennaio
 1988...".
    D'altra  parte,  proprio  il sistema di calcolo adottato dal sesto
 comma dell'art. 21 della legge n. 67/1988 che fa  riferimento  ad  un
 unico  limite  massimo  (l'ultimo, tra quelli succedutisi nel tempo),
 dimostra anche da solo che l'aggiornamento riguarda esclusivamente le
 nuove pensioni, liquidate dal 1º gennaio 1988.
    In  caso  contrario,  sarebbe  stato  necessario il richiamo delle
 diverse  basi  di  calcolo,  a  meno  di  ritenere  un  implicito  (e
 francamente  inverosimile)  aggiornamento, anche dei massimi valevoli
 per le  pensioni  precedenti,  al  tetto  stabilito  dalla  legge  n.
 140/1985.
    Ne'  e'  accoglibile  la  tesi  secondo  cui  i  graduali aumenti,
 previsti   dalla   tabella   allegata   alla   legge   n.    67/1988,
 costituirebbero   delle   "quote   aggiuntive",   nei  cui  confronti
 varrebbero le affermazioni contenute nella sentenza  n.  310  del  20
 gennaio 1989 della s.C.
    Il  termine  "quota" (e piu' esattamente "quota di pensione") e' -
 infatti - chiaramente usato nella norma con il significato di "parte"
 della  pensione,  la cui autonomia rispetto alla "base" trova ragione
 solo nel sistema di  calcolo  adottato  per  la  sua  determinazione,
 tant'e'  che  subito si precisa che detta quota "diviene, a tutti gli
 effetti parte integrante di essa".
    L'inaccoglibilita',  per le ragioni che si sono qui sinteticamente
 esposte, della domanda diretta  ad  ottenere  l'immediata  estensione
 anche  ai  ricorrenti (tutti titolari di pensioni liquidate prima del
 1º gennaio 1988) delle nuove misure di pensione stabilite  dal  sesto
 comma  dell'art. 21, da' rilievo alla questione di costituzionalita',
 sollevata in subordine, della norma de quo.
    I  limiti della domanda rendono, invece, ininfluente - nel caso di
 specie -  l'analoga  questione  che  potrebbe  essere  sollevata  con
 riferimento  alle disposizioni legislative che hanno stabilito i c.d.
 "tetti massimi", ed, in particolare, di quelle che hanno condizionato
 la  determinazione della stessa misura della pensione dei ricorrenti,
 al momento della sua liquidazione.
    Questo pretore ha gia' avuto occasione di occuparsi della medesima
 questione, investendone la  Corte  costituzionale  con  ordinanza  28
 giugno-29  giugno  1989  (resa nei procedimenti riuniti 7646 + 7840 +
 7987 + 7939 + 7647/88 r.g. pretura del lavoro di  Milano),  la  quale
 pur  coinvolgendo  anche  le  disposizioni  dell'art.  3, tredicesimo
 comma, della legge n. 297/1982 e dell'art. 9 della legge n. 140/1985,
 che  qui  non interessano, sviluppa argomentazioni di ordine generale
 che ben possono valere anche con riferimento alle sole previsioni del
 sesto  comma dell'art. 21 della legge n. 67/1988 e dell'art. 19 della
 legge n. 153/1969.
    Non  essendosi  verificati  nel frattempo fatti nuovi, che possano
 incidere  sulla  sua  attualita',  si  riporta  qui  di  seguito   la
 motivazione  che ha sorretto la predetta ordinanza; affidando ad essa
 anche il presente provvedimento.
    "Si  tratta,  com'e'  noto,  di una problematica gia' esaminata in
 epoca relativamente recente dalla Corte costituzionale  (sentenza  n.
 173  del  27  giugno-7 luglio 1986), che - attraverso un approfondito
 vaglio delle molteplici ragioni ed argomentazioni che avevano indotto
 diversi  giudici  di  merito  e  la  stessa  s.C.  a  dubitare  della
 conformita' al dettato costituzionale (artt. 3, 36, 38  e  53)  delle
 diverse  disposizioni  legislative che stabiliscono un limite massimo
 di pensione, ovvero che escludono  la  retroattivita'  alle  pensioni
 gia'  liquidate dei successivi adeguamenti di tale limite, ovvero che
 non prevodono un analogo e corrispondente limite per la  retribuzione
 soggetta a contribuzione - e' pervenuta a negarne la fondatezza.
    Il  dibattito,  riacceso  dalle  parti  in giudizio sulla medesima
 problematica, non ha arricchito di intuizioni nuove o  risolutive  il
 gia'  complesso  e molto articolato panorama di argomenti, sottoposto
 in passato all'attenzione della  Corte  costituzionale  e  da  questa
 esaminato nella sentenza n. 173/1986.
    L'I.N.P.S.,  infatti,  ha  sostanzialmente ripreso i passaggi piu'
 significativi di detta sentenza, mentre la difesa dei  ricorrenti  si
 e'  dal suo canto limitata a denunciarne il carattere piu' "politico"
 e "giuridico" e ad  evidenziare  il  diverso  peso  che  in  altra  e
 successiva sentenza (la n. 101/1988) la stessa Corte ha attribuito al
 precetto   di   proporzionalita'   stabilito   dall'art.   36   della
 Costituzione ed alla estensibilita' di detto principio anche a quella
 forma di "retribuzione differita" che e' la pensione.
    Ne' - analogamente a quanto rilevato anche dal tribunale di Torino
 nell'ordinanza 4 maggio 1988 - questo pretore ritiene che vi siano in
 realta'  aree  o  materia  di  esame,  gia'  non  sondate dalla Corte
 costituzionale nella sentenza n. 173/1986.
    Ne  consegue  che  la  possibilita'  di  pervenire  ad una diversa
 soluzione del problema, cosi' come auspicato da parte  di  chi,  come
 questo  pretore,  ritiene  fondato  il  dubbio  di  costituzionalita'
 sollevato  dalla  difesa  dei  ricorrenti  sulla  normativa  ad  essi
 applicata,  rimane  affidato  ad  un  "ripensamento"  sul  tema,  che
 potrebbe - da un  lato  -  trovare  radici  nelle  affermazioni  gia'
 enunciate  dalla Corte costituzionale circa le modalita', i limiti ed
 i canoni di "ragionevolezza" entro i quali puo' ritenersi  consentito
 al  legislatore  ordinario  di esercitare la sua discrezionalita' e -
 dall'altro lato - trovare nuova alimentazione nella perpetuazione  e,
 forse,  definitivita'  (si  pensi  soprattutto  alla soluzione che il
 problema ha  trovato  nella  legge  n.  67/1988)  di  un  trattamento
 fortemente discriminato, sulla base di un elemento del tutto causale,
 quale e' la data di pensionamento.
    Circa  i  limiti entro i quali deve mantenersi la discrezionalita'
 del  legislatore  ordinario,  questo  pretore   non   puo'   esimersi
 dall'osservare  che  tutte le argomentazioni svolte dalla Corte nella
 sentenza n. 173/1986 (ed, in particolare, quelle che prendono  spunto
 dal  passaggio  -  per  effetto del d.P.R. n. 488/1968 - dal criterio
 assicurativo-mutualistico   a   quello   solidaristico   del   sitema
 pensionistico,  cosi' come quelle che tengono conto delle esigenze di
 risanamento del deficit degli enti previdenziali) si  muovono  su  un
 piano  che  -  nonostante  il  dettaglio  nel quale la motivazione si
 addentra, elencando i vari interventi legislativi che hanno esteso ad
 una  piu'  vasta  area di beneficiari il trattamento pensionistico ed
 elevato i minimi a garanzia di una reale sopravvivenza - rimane pero'
 sempre generale ed astratto..
    La  soluzione adottata dalla Corte costituzionale nasce, infatti e
 pur sempre, dalla contrapposizione teorica tra l'interesse collettivo
 e   quello   individuale   e   dalla  constatazione  dell'inevitabile
 privilegio che - in via di principio - deve essere accordato al primo
 rispetto  al  secondo,  proprio  alla luce della ratio che informa il
 dettato costituzionale.
    Ma se sul piano dei principi la conclusione alla quale perviene la
 Corte non e' assolutamente contestabile (ed e'  pienamente  condivisa
 da  questo pretore), cio' che invece deve porsi in dubbio e' che essa
 sia di per se' assorbente ed esaustiva.
    La  regola  generale  del  sacrificio  dell'interesse  particolare
 rispetto a quello collettivo puo' - infatti - ritenersi correttamente
 invocata  e  correttamente  applicata  non  solo quando il sacrificio
 richiesto sia davvero necessario e davvero  utile,  ma  quando  anche
 detto  sacrificio  sia equamente ripartito in capo a tutti i soggeti,
 che versino in analoghe condizioni.
    Si  tratta,  d'altra  parte, proprio dei criteri ai quali la Corte
 costituzionale ha fatto costantemente riferimento, nelle  piu'  varie
 materie  sottoposte  al  suo vaglio, per misurare la "ragionevolezza"
 delle scelte operate dal legislatore ordinario, nell'esercizio  della
 discrezionalita'     normativa     lasciatagli     dal    legislatore
 costituzionale.
    In  tema di pensioni non pare, pero', a questo pretore, che vi sia
 una tale chiarezza (anche e soprattutto a causa dell'afflusso  e  del
 prelevamento  nelle  e dalle stesse "casse" - quantomeno fino a epoca
 molto recente - di fondi  concernenti  le  piu'  svariate  competenze
 dell'I.N.P.S.)   da   consentire   di   pervenire   ad   affermazioni
 tranquillizzanti sia per quanto concerne la necessita' del sacrificio
 richiesto  ad  una minoranza di pensionati sia per quanto concerne la
 sua utilita', intesa - in senso assoluto - come idoneita' a risolvere
 il  problema in vista del quale il sacrifico e' imposto ed - in senso
 relativo - coma proporzionalita' tra  il  depauperamento  patito  dal
 singolo e l'arricchimento conseguito dalla collettivita'.
    Ma  cio'  che  - anche a voler sorvolare su tali aspetti, peraltro
 essenziali, del problema - rimane assolutamente  inspiegabile  e'  la
 decisione  di  mantenere  ancorate  le  pensioni  liquidate  sotto la
 vigenza di un determinato massimale a detto massimale; e  cio'  anche
 quando  e  benche'  la  possibilita' del suo superamento non richieda
 ulteriori sforzi  dimostrativi  essendo  de  plano  deducibile  dagli
 incrementi dei "tetti", via via stabiliti dal legislatore.
    Ne  consegue  che  le  pensioni di cui sono titolari i ricorrenti,
 gia' svincolate dalla retribuzione percepita nel triennio  precedente
 al loro collocamento a riposo e dalla effettiva contribuzione versata
 all'istituto e come tali gia' determinate in violazione (per i motivi
 dettagliatamente  esposti  nelle  ordinanze, di cui si e' occupata la
 Corte costituzionale nell'emanare la sentenza  n.  173/1986  ed  alle
 quali  questo  pretore  fa  integrale  rinvio) dei precetti contenuti
 negli artt. 36, 38 e 53  della  Costituzione,  sono  anche  disuguali
 rispetto  alle pensioni, liquidate ad altri lavoratori dopo l'entrata
 in vigore della legge n. 67/1988, pur quando sia stata percepita  nel
 triennio precedente al collocamento a riposo un'identica retribuzione
 e versata una identica contribuzione e pur quando possa essere  fatta
 valere  un'identica  anzianita'  di iscrizione all'I.N.P.S. E cio' in
 aperta  violazione,  a  parere  di  questo  giudice,  del   principio
 fondamentale di uguaglianza, stabilito dall'art. 3 della Costituzione
 ed in contrasto con le stesse  indicazioni,  alle  quali  nella  piu'
 volte   citata  sentenza  n.  173/1986  si  e'  richiamata  la  Corte
 costituzionale, ravvisando nella temporaneita' delle  limitazioni  il
 canone  di  ragionevolezza e, conseguentemente, di legittimita' della
 deroga in esame".